Non solo “avvisi” (anno 2018-19)

Tra un avviso e l’altro, qualche riflessione

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Una «vita bella»

lettere di amici: Suor Paola e P. Franco

Il popolo in cammino si lascia condurre dalla luce della Parola di Dio (clicca qui)

Scuola Materna parrocchiale di San Salvatore – Proposta educativa (clicca qui)

«Affluiranno tutte le genti. (10 febb. 2019) (clicca qui)

Visitando una chiesa, sperduta nel verde. (clicca qui)

Chiesa in uscita…(clicca qui)

Peccato: tenebre, menzogna, schiavitù, morte (clicca qui)

Lettere dagli amici: suor Paola; suor Laura

 

 

4 aprile 2019

UNA CONFESSIONE BELLA?!
Consigli del card. Martini

Io mi sono chiesto, o il Signore mi ha ispirato a chiedermi, se mi pesava tanto una confessione breve e affrettata, perché non provare a farla più lunga e con più calma. Sembra un paradosso, però anche i paradossi qualche volta aiutano ad uscire da situazioni bloccate. Allora, anche con l’aiuto di qualcun altro, sono passato dalla confessione a quello che chiamerei dialogo penitenziale.
Mi pare innanzi tutto un colloquio con un fratello che rappresenta la Chiesa, quindi un sacerdote, in cui vedo un diretto rappresentante di Dio. Un colloquio fatto pregando insieme, nel quale io presento ciò che sento di me, in questo momento; mi presento così come sono, di fronte alla Chiesa e dinanzi a Dio.
“confessio laudis”,
Mi pare che sostanzialmente questo colloquio abbia due parti: la prima, che chiamo “confessio laudis”, cioè confessione secondo il primitivo significato del termine. Se mi risulta così faticoso e difficile ogni volta dire i miei peccati, perché non partire dalle opere buone?
Signore, voglio prima ringraziarti perché in questo tempo mi hai aiutato, si è compiuta la tal cosa, ho potuto avvicinare la tal persona, mi sento più tranquillo, ho superato un momento difficile, ho potuto pregare meglio. Ringraziare Dio di ciò che sono, per suo dono, in forma di dialogo, di preghiera di lode, riconoscere ciò che adesso dinanzi a Dio mi dà gioia, sono contento che ci sia o ci sia stato. E’ anche importante che dinanzi al Signore emergano queste cose, il riconoscimento della sua bontà per noi, della sua potenza, della sua misericordia.
,,confessio vitae”
Sullo sfondo di tutto ciò può passare allora ad una ,,confessio vitae” che io definirei così più che una ricerca e un elenco di peccati formali, dire dinanzi a Dio che cosa adesso mi mette a disagio, non vorrei che fosse. Spesso saranno atteggiamenti, modi di essere più che peccati formali, ma in fondo le cause sono quei dodici atteggiamenti che elenca S. Marco: superbia, invidia, possesso di sé… che emergono in questi stati d’animo.
Oppure dirò dinanzi a Dio: mi dispiace perché non riesco a parlare sinceramente con una certa persona, con quel gruppo il mio rapporto non è autentico, non so da che parte iniziare. Mi dispiace di non riuscire a pregare, mi mette a disagio sentirmi avvolto dalla sensualità, da desideri che non vorrei, da fantasie che mi disturbano. Forse non accuso nessun peccato specifico, ma pongo me stesso dinanzi al Signore, così come vorrei che Lui mi risanasse.
Confessio fidei
Sarà veramente non un mettere sul tavolo tre o quattro peccati, perché siano cancellati, ma un immergersi battesimale nella potenza dello Spirito: Signore, purificami, rischiarami, illuminami. Chiedo un questa confessione non soltanto che sia cancellato questo o quel peccato, ma che il mio cuore sia cambiato, che ci sia in me meno pesantezza, meno tristezza, meno scetticismo, meno orgoglio. Forse non so neppure da che parte cominciare, ma pongo tutto questo nella potenza del Crocifisso e del Risorto per la potenza della Chiesa.
Di qui nasce l’invocazione di preghiera, che può essere fatta insieme al sacerdote: si può recitare un Salmo, una preghiera della Bibbia, di ringraziamento o di richiesta, o comunque una preghiera spontanea, su cui l’assoluzione sacramentale viene come la manifestazione della potenza di Dio, che io chiedo perché so che non sono capace a migliorarmi da me. Mi rimetto ancora una volta sotto la Croce, sotto quella potenza che mi ha battezzato, perché ancora una volta mi riprenda in mano.

Ecco cosa intendo per colloquio penitenziale; non semplicemente un colloquio psicologico. quasi una forma terapeutica. Non c’è bisogno che il confessore mi riveli necessariamente le sorgenti segrete delle mie colpe; potrebbe anche avvenire con uno specialista del cuore umano, ma anche se il confessore è una persona che non sa molto del cuore umano, può sempre pregare per me, su di me e con me.
Questo è sottoporsi alla potenza della Chiesa, quindi anche salvare il valore del Sacramento: vengo a confessarmi non per sentire cose interessanti, per vedere che consiglio mi viene dato, ma perché io sono il caso da sottoporre alla potenza di Dio e questo mi basta, mi dà gioia, mi dà pace. (Card. Martini)

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19 marzo 2019 – Cominciamo a preparare la «confessione pasquale»:

 

 

Peccato: tenebre, menzogna, schiavitù, morte

Un commento al vangelo del Card. Martini mi sembra che ci possa aiutare

Peccato:
“Ecco l’Agnello diDio che toglie il Peccato delmondo”Che cosa è il « peccato? . iciamo che è l’atteggiamento sbagliato fondamentale. Giovanni sa bene che ci sono diversi e molteplici atteggiamenti sbagliati.
Tuttavia, per lui una cosa conta, come spiega in 16, 8-9: « Convincerà il mondo di peccato …; di peccato infatti, perché non credono in me ». Quindi il peccato fondamentale per Giovanni è non accettare il Figlio di Dio fra noí, con tutte le conseguenze che ciò comporta.

Le tenebre.
L’espressione compare nove volte in Giovanni. Che cosa sono queste tenebre?
Semplicemente il buio, cioè l’assenza di luce: quella situazione in cui si cammina malamente e inciampando. L’immagine è quella di qualcuno che va per una strada, e nel buio non sa dove mettere i piedi, li mette male, inciampa … “ Se volessimo tradurre queste tenebre in linguaggio nostro, potremmo forse parlare di disorientamento interiore, che è quello stato di disordine, per cui non si sa dove si deve andare e come.
E tale disorientamento interiore, quando non è semplicemente sofferto con il desiderio di uscirne, bensì è assunto come sistema di vita, fa sì che ci si lasci trascinare dagli impulsi più immediati e dalle situazioni empiriche, senza mai affrontare il vero perché delle cose. Con « tenebre », dunque, Giovanni intende quel camminare a casaccio e male, che è tipico di chi non ha un punto di riferimento.
Ora egli ci dice: il non riconoscere Gesù, fatto uomo fra noi, come il senso ultimo della realtà che dà valore a ogni cosa, fa sì che ci si trovi nelle tenebre, senza punti di riferimento. Allora si procede a casaccio, a tentoni, con continue oscillazioni da un estremo all’altro, senza mai sapere bene che cosa si fa e perché lo si fa, con tutte le conseguenze disastrose di questo disorientamento che si riassumono in quel « disordine delle operazioni », di cui parla Ignazio nel colloquio indicato (ES, n. 63).
Quando manca questo orientamento interiore, subentra l’inerzia, oppure un’attività molteplice, che però copre una vera inerzia per le cose essenziali, perché non si sa più distinguere ciò che vale da ciò che non vale, e allora tutte le cose si equivalgono. In questo caso l’affannosa molteplicità delle azioni equivale in fondo all’inerzia, al non fare nulla, alla pigrizia, perché tutti e due i comportamenti sono causati da un identico disorientamento.

La menzogna. (gv  8, 44 e 8, 55).
Come tradurre anche qui, o almeno come cercare di tradurre? Chi è nelle tenebre, chi è nel disorientamento e non sa ammetterlo (cioè accetta che in fondo tutte le cose un po’ si equivalgano, e non ci sia vera distinzione tra ciò che è più importante e ciò che lo è meno), allora odia la luce e la sua vita diventa inautentica: è questa l’esistenza inautentica di chi non si è messo veramente di fronte alle ultime vere responsabilità, e allora sfugge ad esse ricorrendo a pseudo-doveri o a diritti, di cui si pasce di giorno in giorno. In quanto vita inautentica, essa è anche una vita rosa dall’invidia per chi invece questa autenticità sembra averla. Qui tocchiamo il fondo della meditazione di 8, 44: il demonio è « uccisore di uomini », e questo per invidia e nella menzogna.

La schiavitù.
Giovanni non ne parla molto, ma ne parla nello stesso contesto di 8, 33.34-35. Potete rendervi conto di come i termini siano tutti collegati, se prendete come punto di riferimento 8, 34: « Chi fa il peccato è schiavo del peccato ». Chi non si apre all’esistenza autentica, è schiavo di tutte le contingenze quotidiane. E se esaminiamo la nostra giornata, soprattutto chi è impegnato nella vita attiva, credo che non sfuggiremo all’impressione di essere un no’ schiavi delle cose: non soltanto schiavi delle passioni (questo può esserci o può non esserci in maniera palese), ma schiavi delle incombenze, degli orari, delle scadenze, delle urgenze, delle pressioni, del telefono, senza che alla fine si sappia bene, tra tante cose, che cosa si sta facendo e perché. Sappiamo ciò che urge e ciò che gli altri si aspettano da noi, ma non riflettiamo mai se tutto ciò sia importante; oppure se ci sia qualcosa di più importante da fare, che magari nessuno fa.
Ecco, Questa è la confusione (« disordine delle operazioni » la chiama Ignazio) che spesso rode la nostra esistenza quotidiana e rende faticosissima la nostra giornata, proprio perch’ essa manca di autenticità. Ouando noi questa schiavitù si allarga (come succede comunemente a ciascuno di noi) in schiavitù rispetto ad elementi esteriori spesso occulti, come la pubblica opinione, le idee correnti, le antipatie o le simpatie, i modi di dire, gli slogans verbali, allora ci accorgiamo manto la mancanza di punti di riferimento autentici ci renda dei veri e propri burattini, dipendenti da mille cose incontrollabili, le quali però di fatto regolano tutta la nostra esistenza, dandole un certo ritmo faticoso e snervante: in realtà con poco merito, in quanto faticoso e snervante non per ragioni validamente accettate, per ideali ai quali ci sacrifichiamo, ma per una serie di ingranaggi in cui siamo dentro e di cui non riusciamo spesso a motivare il funzionamento.

La morte.
Troviamo tre punti di riferimento in 8, 24, poi in 8, 21 e 8, 51-52, e infine in 5, 24.
Dunque, qual è lo stato di morte? È lo stato di chi, non ascoltando la parola di Gesù e non regolando la sua vita secondo la presenza del Verbo incarnato fra noi, vive un’esistenza inautentica, schiava, divisa in se stessa. Che cosa ci fa passare da morte a vita?
L’ascolto con fede della parola di Gesù. Quindi Giovanni sembra dire di nuovo, radicalizzando il discorso: in quanto la parola di Gesù non è l’anima della nostra vita, siamo nelle tenebre, nella menzogna, nella schiavitù, nella morte.
È la parola di Gesù, essa sola, che ci libera da questa situazione. Non possiamo liberarci da noi, perché se tentiamo di farlo con uno sforzo nostro, ricadiamo in una forma nuova di inautenticità, che è ancora tenebra, menzogna, schiavitù e morte.

È questa una visione certamente radicale: essa forse dovrebbe essere contemperata con quella che è tutta  la nostra esperienza quotidiana. Però val la pena, una volta tanto, considerare fino in fondo questo tipo di visione e domandarci quanto essa ci tocca, così da vedere anche come lo Spirito ci chieda di uscire da questa situazione oscura, dalla quale Gesù viene a liberarci con la sua parola e con il suo dono.

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17 febb. 2019

Chiesa in uscita…

Papa Francesco nell’ “Evangelii Gaudium”, che lui stesso definisce spesso come il documento programmatico del suo pontificato ci propone questa serie di azioni per avere una “Chiesa in uscita”;

La Chiesa “in uscita” è la comunità di discepoli missionari che prendono l’iniziativa, che si coinvolgono, che accompagnano, che fruttificano e festeggiano.
1. “Primerear – prendere l’iniziativa”:.
La comunità evangelizzatrice sperimenta che il Signore ha preso l’iniziativa, l’ha preceduta nell’amore e per questo essa sa fare il primo passo, sa prendere l’iniziativa senza paura, andare incontro, cercare i lontani e arrivare agli incroci delle strade per invitare gli esclusi. Vive un desiderio inesauribile di offrire misericordia… Osiamo un po’ di più di prendere l’iniziativa!
2a. Come conseguenza, la Chiesa sa “coinvolgersi”.
Si mette mediante opere e gesti nella vita quotidiana degli altri,
accorcia le distanze, si abbassa fino all’umiliazione se è necessario…
2b.. Quindi, la comunità evangelizzatrice si dispone ad “accompagnare”. Accompagna l’umanità in tutti i suoi processi, per quanto duri e prolungati possano essere. Conosce le lunghe attese e la sopportazione apostolica.
3. Fedele al dono del Signore, sa anche “fruttificare”.
La comunità evangelizzatrice è sempre attenta ai frutti, perché il Signore la vuole feconda. Si prende cura del grano e non perde la pace a causa della zizzania. Trova il modo per far sì che la Parola si incarni in una situazione concreta e dia frutti di vita nuova…
4. Infine, la comunità evangelizzatrice gioiosa sa sempre “festeggiare”.
Celebra e festeggia ogni piccola vittoria, ogni passo avanti nell’evangelizzazione. L’evangelizzazione gioiosa si fa bellezza nella Liturgia in mezzo all’esigenza quotidiana di far progredire il bene. La Chiesa evangelizza e si evangelizza con la bellezza della Liturgia, la quale è anche celebrazione dell’attività evangelizzatrice e fonte di un rinnovato impulso a donarsi. Ev. Gaudium, 24.

Il nostro vescovo, Mario Delpini negli incontri con i sacerdoti e laici di questa settimana ci propone questo testo spiegandomi come questi siano i temi prioritari del cammino che propone alla diocesi.

1. La Chiesa dimora nello stupore.
Dimorare nello stupore è una condizione spirituale che rende leggeri, lieti, contenti: sug­gerisce che l’esperienza cristiana è una grazia sorprendente.
Mentre le letture politiche, sociologiche, storiche, cronachistiche possono leggere il conver­gere di molti popoli come un problema da affrontare, come una minaccia da cui difendersi, i discepoli di Gesù continuano a dimo­rare nello stupore, ad essere fuori di sé per la meraviglia, ad ascoltare la parola degli Apostoli che danno testimonianza della Pasqua del Signore con un annuncio che risponde alle attese di tutti.

2. A proprio agio nella storia.
La nostra tradizione cristiana vive con una pacificata naturalezza la storia: non ne soffre come di una prigione, non l’idealizza come un paradiso, non vi si perde come in una confusione inestricabile. Vive i momenti di euforia con un certo scetticismo, vive i momenti di depressione senza rassegnarsi
Si è sperimentato che l’intraprendenza e la creatività, se vissute con costanza e saggezza, permettono di affrontare i problemi, di risolverne molti e di convivere con quelli che non si possono risolvere.

3. Il forte grido.
L’incarnazione del Verbo di Dio non è stato un adattarsi alla storia. Di fronte alla morte Gesù ha gridato la sua protesta, di fronte al soffrire innocente Gesù ha espresso la sua compassione.
I discepoli di Gesù continuano lo stile di Gesù e protestano contro il male, reagiscono all’ingiu­stizia, si accostano con solidale compassione al dolore innocente, lottano per estirpare la povertà, la fame, le malattie, denunciano i comportamenti irresponsabili che creano emarginazione, sfrutta­mento, inquinamento. La vocazione a dare forma alla Chiesa, impegna a percorsi di sobrietà, a forme pratiche di solidarietà, a una sensibilità catto­lica che non tollera discriminazioni.

4. Vieni, ti mostrerò la promessa sposa, la sposa dell’Agnello
La certezza che le profezie della convocazione universale si realizzano nella nuova Gerusa­lemme alimenta una simpatia per tutte le nazioni, per tutti gli uomini e le donne, perché in tutti legge la vocazione alla fraternità.

Quasi un “giochino”: Prova a confrontare questi due testi

Vi trovi vicinanze, differenze, interessanti intrecci?

Rispondere personalmente è certamente un esercizio di buona meditazione;
condividere, magari tramite email, potrebbe diventare un’occasione di cammino per tutti.

3  febb.2019

 

 

Visitando una chiesa, sperduta nel verde.

Dovemmo scarpinare un bel po’ per raggiungere quel monastero posto quasi in cima alla collina.

La “guida del Touring” ne parlava come di una costruzione molto antica, forse già del settimo-ottavo secolo d.C., anche se aggiungeva: “non ne rimane che una chiesa un po’ malandata”.

La gente del luogo non sapeva darci grandi informazioni, non ne sapeva nulla, se non che su quella collina abitava un vecchio, forse un frate; vi conduceva vita ritirata e, accanto sì, ci doveva essere una chiesa un po’ diroccata.

Entrammo; era una Chiesa piccola, bisognosa di molti restauri; non mancava un certo odore di muffa; ma aveva molto fascino e ci colpì il fatto che pur molto piccola fosse a tre navate, con solo quattro colonne.

“Questa non è una Chiesa come tante…, – disse fratel Egidio – bisogna conoscerne la storia!.

Le colonne per esempio… Sono una catechesi vivente!

1 colonna

colonna parolaVenite, venite; osservate questa, alla destra dell’altare”.

La toccò con delicatezza, poi con le nocche della mano destra bussò sul tronco: “ Sentite, è di legno; guardate il capitello: sembra un albero frondoso”.»

«La vollero come simbolo della parola di Dio, che è un albero dove ognuno può trovare ristoro; un albero lussureggiante; basta saper creare un po’ di silenzio, basta fermarsi in contemplazione… e subito la mente sente pace e freschezza ed è pronta a produrre mille frutti diversi”.

 

colonna preghiera

2 colonna

“Questa,-si era spostato qualche passo a sinistra dell’altare – questa, ripeté, è invece di silicio!

Si inchinò sino a terra, estrasse un sasso dalla tasca, lo sfregò contro la base: “Vedete fa ancora scintille; è infatti una colonna di pietra focaia. Ecco perché il capitello sembra avvolgerla in un insieme di fiamme.

L’hanno voluta come simbolo della preghiera, capace di infiammare il cuore degli uomini quando vi si applicano; capace soprattutto di infiammare il cuore di Dio che brucia d’amore per noi, se solo ci apriamo a Lui”.

3 colonna

colonna caritàCi invitò a indietreggiare qualche passo, verso la seconda colonna di sinistra; era, a nostro modo di vedere, indubbiamente la più bella: il marmo era ricoperto con mille intarsi di mille colori; un vero mosaico; la colonna non saliva dritta come le altre; era come se fossero quattro colonne che si attorcigliavano…

“Peccato – mi azzardai a dire – quel pezzo là in alto un po’ rovinato!” (Vi era una macchia in alto senza mosaici).

“No, no – si infervorò fratel Egidio – non dica così; questa è la colonna della carità; guardi le singole tessere; non sono tessere di mosaico; sono cocci, fondi di bottiglia, pezzi di scarto; tutta roba che gli uomini buttano; la carità li prende tra le sue mani d’artista e con un po’ di luce li trasforma…

Quel pezzo scrostato è un “non finito” come usano spesso gli artisti anche moderni, perché manca sempre qualcosa alla carità!

4 colonna

colonna eucarestiaL’ultima colonna era di alabastro; il capitello era lavorato come un vitigno; sugli angoli, la figura di pellicani che nutrivano i loro piccoli.

“Questa è una colonna speciale, ancora viva !

Vedete già da soli come essa ci indichi l’Eucaristia; lo dicono i simboli della vite e del pellicano; ma vi dicevo che è una colonna viva!”.

Mentre parlava, era andato verso un piccolo altare laterale a prendere un cero. Lo fece passare dietro la colonna, più volte, su e giù; gli occhi gli si illuminarono (ma forse era l’effetto della candela!).

“Vedete, vedete – continuava – con un po’ di fuoco questa colonna sembra stillare miele” (effettivamente le trasparenze di questa pietra retro-illuminata, sembravano del miele che stava colando); avvicinò ancor più la candela alla colonna: “Vedete con un po’ di luce questa colonna diventa fuoco!

…Ah! L’eucaristia che grande dono, che grande dono!

Ci vuole la forza della Carità, ci vogliono la luce della Parola, e il fuoco della Preghiera per gustarla…

Questa è davvero la colonna più preziosa!

Dopo qualche minuto di silenzio, dovuto un po’ al rispetto, un po’ all’imbarazzo di fronte a tanto entusiasmo e a tanta bellezza, mi permisi:

“Ma, perché questi nastri colorati, che sembrano per giunta stonare un po’?”.

“Non guardate solo con gli occhi della vuota estetica! Entrate nel mondo dei simboli!

È la parola che tiene viva la chiesa, la mantiene in una continua primavera” – disse segnalando il nastro verde

“E’ il fuoco della carità che la costruisce” e indicava il nastro rosso.

“È la preghiera che ci apre uno squarcio di cielo”, aggiunse indicando il nastro azzurro.

“Oro, oro purissimo è l’Eucaristia: Dio stesso che viene in me!” sospirò mostrandoci il nastro dorato.

(dal racconto-guida per la catechesi dei ragazzi – anno 2008-09)

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«Affluiranno tutte le genti. (10 febb. 2019)

Verranno molti popoli e diranno: “Venite, saliamo sul monte del Signo­re, al tempio del Dio di Giacobbe, perché ci insegni le sue vie e possiamo camminare per i suoi sen­tieri» (Is 2,2-3).

Nell’atto di promulgare l’esito (del Sinodo dalle genti), invito tutta la Chiesa diocesana a disporsi all’ esperienza che i Padri antichi chiamano “dimora­re nello stupore”: quale gioia ci sorprenderà nel constatare che quella dispersione, che ha ferito l’umanità e l’ha condannata all’incomprensione, al sospetto, all’ostilità, è stata guarita dal dono dello Spirito che abilita la Chie­sa a farsi intendere in tutte le lingue e ad essere la casa per tutti i popoli? Quale gratitudine sarà la risposta all’annuncio che «non siete più stranieri né ospiti, ma siete concittadini dei santi e familiari di Dio»? (Ef 2,19).
Mentre le letture politiche, sociologiche, storiche, cronachistiche possono leggere il convergere di molti popoli come un problema da affrontare, come una minaccia da cui difendersi, come un feno­meno da regolamentare, i discepoli di Gesù che formano la Chiesa cattolica continuano a dimorare nello stupore, ad essere fuori di sé per la meraviglia, ad ascoltare la parola degli Apostoli che danno testimonianza della Pasqua del Signore con un annuncio che risponde alle attese di tutti.

Allegato al Decreto Arcivescovile prot. 213/19 del 1 febbraio 2019

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27 genn. 2019

Scuola Materna parrocchiale di San Salvatore
Proposta educativa
La scuola materna parrocchiale di San Salvatore radica la propria proposta
educativa nella concezione cristiana e cattolica della vita.
È un’istituzione educativa di ispirazione cristiana, dove la centralità della persona costituisce regola primaria e di riferimento per la prassi educativa.
La scuola aderisce alla F.I.S.M (Federazione Italiana Scuole Materne) e, coerente con la propria identità, esprime precise scelte educative, accetta e condivide assieme alle famiglie i valori universali e gli ideali pedagogici legati alla cultura di ispirazione cristiana.
La scuola considera il bambino come persona soggetto di diritti inalienabili. Si propone la finalità di promuovere lo sviluppo armonico del bambino, rispondendo ai suoi bisogni di crescita, nel rispetto dei tempi di maturazione e delle potenzialità di ciascuno. La scuola si propone di promuovere l’identità personale, la conquista dell’autonomia e lo sviluppo delle competenze. In questa prospettiva adotta e applica le “Indicazioni nazionali per i piani personalizzati delle attività educative nelle scuole dell’infanzia” approvate dalla Camera dei Deputati e dal Senato della Repubblica il 28 Marzo 2003. Secondo le “indicazioni nazionali” la scuola dell’infanzia rafforza: l’identità personale, l’autonomia, le competenze individuali.
La scuola raggiunge questi obiettivi del processo formativo collocandoli in una visione che riconosce il ruolo primario della famiglia e l’importanza del territorio in cui la scuola è collocata.

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2 febb.2019

 

 

Il popolo in cammino
si lascia condurre dalla luce della Parola di Dio

«Lampada per i miei passi è la tua parola,
luce sul mio cammino» (Sal 119,105).

Il popolo che si inoltra nel deserto
per rispondere al Signore che lo chiama a libertà,
il credente che vive la sua vita come vocazio­ne
e decide di compiere la volontà di Dio invoca ogni giorno:

«A te grido, Signore, mia roccia, con me non tacere:
se tu non mi parli, sono come chi scende nel­la fossa» (Sal 28,1).

Il Padre ha parlato e si è rivelato nel Figlio suo Gesù
e ha mandato lo Spirito Santo per ricordarci le paro­le di Gesù.

La Parola di Dio non è in primo luogo un libro da studiare,
ma quella confidenza che Gesù ci offre, perché
la sua gioia sia in noi e la nostra gioia sia piena (cfr. Gv 15,11). Dalla lettera pastorale 2018-19

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17 dic, 2019

lettere di amici: Suor Paola e P. Franco

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18 dic. 2018

Una «vita bella»

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  9 dic. 2018

Siamo autorizzati a pensare.

«L’emozione non è un male, ma in questo momento l’intensità delle emozioni è particolarmente determinante nei comportamenti. Ciascuno si ritiene criterio del bene e del male, del diritto e del torto: quello che io sento è indiscutibile, quello che io voglio è insindacabile».

La “cultura post-moderna” esalta l’emozione, lo slogan gridato, stuzzica la suscettibilità e deprime il pensiero riflessivo». il rischio è quello «di lasciarsi dominare da reazioni emotive …

Bisogna invertire la rotta.Credo sia opportuno un invito ad affrontare le questioni complesse e improrogabili con quella ragionevolezza che cerca di leggere la realtà con un vigile senso critico e che esplora percorsi con un realismo appassionato e illuminato».

«Vogliamo lavorare per un pensiero realista, che abbia a cuore la ricerca continua della verità e del bene condiviso, libera da pregiudizi, aperta agli altri e alla domanda di senso». (Discorso di S. Ambrogio 2018

 

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