Il “Quatuor pour la fin du temps”

Olivier Messiaen
(Avignone, 10 dicembre 1908Clichy, 27 aprile 1992)
compositore, pianista, organista e ornitologo francese.

I compositori sono abituati a cucinare con gli ingredienti che hanno a disposizione. Olivier Mes-siaen, però, ha esagerato.

Quindici gradi sotto zero, Stalag di Gör-litz, in Slesia, un violino, un clari-netto, un violoncello con una corda in meno e un pianoforte con i tasti all’acuto che non tornano su dopo essere stati premuti.
La necessità aguzzerà pure l’ingegno però così è troppo.

E invece lui ha scritto un capolavoro proprio perché era in quelle condizioni. A quella situazione il Quatuor pour  la fin du temps deve il suo carattere, la sequenza di visioni e soprattutto la prospettiva apocalittica funzionale a una metafisica di pace, alla certezza che l’uomo sarà salvato.

La “fine del tempo” per Messiaen è l’Apocalisse di Giovanni, l’«angelo possente, che scendeva dal cielo avvolto da una nube».
Quello che «sopra il capo aveva l’iride», che aveva il volto «come il sole» e le gambe che «sembravano colonne di fuoco», che «gridò come ruggisce un leone» prima di fare il solenne giuramento: «Non vi sarà più indugio! Nei giorni in cui il settimo angelo farà udire la sua voce e suonerà la  tromba, allora si compirà il mistero di Dio come egli ha annunziato ai suoi servi, i profeti». (Apocalisse, X, 17).

L’«indugio» è il tempo, e il tempo in musica è il ritmo. «Messiaen dava al tempo un’attenzione che gli avevano accordato prima di lui pochi compositori»,.

 Ma il compositore francese voleva ancora di più, voleva abolire il tempo per puntare alla contemplazione. Scopo ambizioso che necessitava di un sistema di ritmi «non retrogradabili», che non si possono cioè leggere al contrario, e di un’armonia non to  nale capace di creare un senso di sospensione e staticità come avviene prevalentemente nelle tradizioni orientali. Un pensiero che era stato sviluppato prima della guerra, e che in uno Stalag trovava paradossalmente il terreno più fertile per dare i suoi frutti.

In fondo le vicende belliche hanno “solamente” mostrato all’artista quell’imperfezione dell’uomo che sottopone il credente a una prova di particolare gravità.

Ne è scaturita una musica che vibra di speranza, senza disperazione, anche se concepita in una situazione tragica.

E fu con queste premesse che la sera di mercoledì 15 gen  naio 1941, col freddo che faceva, nella baracca 27 B e per un pubblico formato da cinquemila compagni di prigionia, Messiaen si sedette a un pianoforte verticale sgangherato e assieme a tre dilettanti eseguì in prima assoluta un lavoro che è diventato un punto di riferimento per il Novecento musicale.

«Questa musica ci riscatta tutti. Un riscatto sulla prigionia, sulla mediocrità e soprattutto, su noi stessi», commentò un anonimo compagno di sventura. Lo stesso vale ancora oggi, con la differenza che noi stiamo al caldo.  (marcello filotei dall’Osservatore Romano 25 genn. 2020)

Indicazioni per l’ascolto

Dove ascoltarlo

Non è musica semplice, ma è musica grande, capace di riscattare il libro dell’Apocalisse
dalla nenia del “E’ difficile”, con cui , non senza un po’ di colpa ,
ci sottraiamo alla profezia dello Spirito, necessaria sempre. Anche oggi.

Un autore di tal valore, ogni domenica si prestava a suonare alla messa delle 18.00
nella  chiesa di S. Trinitè a Parigi,

In tempi tribolati, può farci bene!

 

 

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